Sfogliando il VII libro della Storia Naturale di Plinio il Vecchio, si apprende che un tale Cinira dell'isola di Cipro inventò le tegole, le tenaglie, la leva , il martello e l'incudine. La tessitura viene attribuita agli Egizi e la tintura delle lane ai Lidi. Un tale Aracne sarebbe l'ideatore di lenze e reti.
Secondo Esiodo i primi a lavorare il ferro furono i Dattili Idei di Creta, mentre fu Cadmo di Fenicia il primo a fondere l'oro. Il primo e arcinoto falegname nonchè architetto fu Dedalo che oltre ad aver realizzato il noto labirinto per il re Minosse a Creta, sembra abbia ideato (appropriandosi dell'idea di un suo allievo) la sega, il filo a piombo e la trivella e utilizzato per primo colle di origine diversa, inclusa la colla di pesce .
Plinio attribuisce poi a Teodoro di Samo l'ideazione della squadra e del tornio e ai Frigi l'uso del carro a quattro ruote.
Dopo aver appreso inoltre che l'arte del cavalcare si deve a Bellerofonte , unico ad essere riuscito a domare il mitico cavallo alato Pegaso, si passa a Licaone inventore delle "tregue" e a Teseo che sembrerebbe essere stato il primo ad impiegare un "trattato".
A questo variegato catalogo Plinio aggiunge qualche nota circa l'introduzione a Roma dei barbieri dicendo che essi giunsero a Roma dalla Sicilia nell'anno 454 di Roma (300 a.C) portati da Publio Titino Mena.
Il primo a introdurre la rasatura quotidiana fu Scipione Emiliano detto Africano minore, ma anche l'imperatore Augusto si radeva frequentemente.
Poichè Plinio attinge da Varrone (116 -27 a.C) e dalla sua opera Res Rusticae, abbiamo cercato di ritrovare la nota sui barbieri nel testo dello scrittore di origine reatina, per saperne qualcosa di più su questi " tonsores siculi".
Si scopre allora che questi tonsores vennero si dalla Sicilia ma erano inizialmente più esperti nella tosatura degli animali lanuti che non nella rasatura dei consoli e magistrati romani. Varrone ricorda inoltre che una memoria di questi avvenimenti si trovava all'interno del palazzo pubblico di Ardea.
Recandovi ancora oggi ad Ardea, facilmente raggiungibile percorrendo la via Ardeatina, potrete con qualche sforzo andare indietro di qualche secolo e rivedere quella antica città che era "arduo" conquistare , anche se Enea dopo aver ucciso Turno re dei Rutuli , la distrusse incendiandola.
Nelle Metamorfosi di Ovidio si trova (libro XIV, 572) invece una versione poetica che collega il nome di Ardea a quello latino di ardea che indicava l'airone cinerino ....."un uccello mai visto prima di allora si leva in volo da sotto le macerie e sferza le ceneri sbattendo forte le ali. Il suo grido, la sua magrezza, il suo colore cinereo, tutto corrisponde alle caratteristiche di una città distrutta e della città gli rimane anche il nome".
Parcheggiate lungo le antiche mura e attraversate la porta risalente al XII secolo, dove sulla vostra destra troverete una targa apposta in tempi recenti che ricorda la storia dei barbieri. Tenendo la vostra destra raggiungerete l'antica Acropoli con i resti di quello che si suppone dovesse essere un tempio dedicato a Giunone; lo stato in cui si trova tale area non ha giustificazioni se non le solite scusanti della mancanza di fondi da parte dei comuni. Nelle vicinanze troverete la chiesa di S.Pietro Apostolo ormai restaurata, mentre si potranno visitare altri siti archeologici con i resti dei grandi templi arcaici e del Porto dell'Incastro.
Non dimenticare poi che ad Ardea si trova il Museo Manzù che contiene la cospicua raccolta delle opere realizzate dall'artista fino al 1991, data della sua morte.
Se avete ancora tempo, visitate la chiesa di S.Marina: la leggenda su questa santa è interessante benchè la tradizione la collochi in area orientale.
Santa Marina fu costretta dal vecchio genitore a vivere in un convento sotto le mentite spoglie di frate Marino. Venne poi cacciato dal convento perché accusato di aver avuto rapporti illeciti con una donna malvagia che l'aveva additato come padre del figlio che aveva in grembo. Marina non rivelò il suo segreto anche se dopo qualche tempo venne riammessa in convento ma solo al fine di essere costretta a subire i lavori più umilianti e faticosi per espiare la sua supposta colpa.
Tale trattamento la portò ben presto alla morte e solo al momento delle esequie si scoprì il segreto di Marina che meritò così il giusto riconoscimento come martire e santa.
Letture consigliate:
Guida insolita ai misteri, segreti, alle leggende e curiosità del Lazio , Rendina
Analisi storico antiquaria dei dintorni di Roma, Nibby
Antiche Strade, Via Ardeatina, L.Spera, Ist.Poligrafico dello Stato