25/11/06

Orvinio(Ri) : itinerario in cerca di idilliaci panorami in un borgo del Lazio tra i più belli d'Italia


Se foste vissuti prima dell'anno 1000, per giungere nel luogo meta di questo itinerario, tra un cambio cavalli e l'altro, avreste dovuto chiedere della città di Orvinium, e non avreste trovato difficoltà (si fa per dire) essendo tale insediamento fondato dai Siculi, assai importante prima della sua distruzione.
Basta dire che mentre Dionisio di Alicarnasso la definiva" Città quant’altra mai illustre, grande e magnifica" ; Terenzio Varrone la lodava per la sua ampiezza e nobiltà, ricordandone gli antichi sepolcri, le possenti mura e i due templi eretti sull'Arce, dedicati a Minerva e ad Atena.
Se invece avreste voluto fare da guida a qualche pittore intorno alla metà dell' Ottocento, alla ricerca di scorci panoramici e antiche rovine, avreste dovuto chiedere prima, un salvacondotto allo Stato Pontificio e poi presentarvi al Governatore di Canemorto : questo toponimo viene da qualche storico, associato ad una strepitosa vittoria ottenuta, si dice, intorno ai primi del IX secolo, nella Valle Muzia, da Carlo Magno sui Saraceni ed alla conseguente uccisione del loro capo o Khan .Va ricordato che tale toponimo compare già dal 1075 nel Regesto dell'Abbazia di Farfa, Personalmente vista la presenza di monaci alquanto avvezzi in materia botanica ed essendo la lingua greca ben nota presso molti antichi insediamenti, suggeriamo una derivazione meno fantasiosa: il toponimo potrebbe derivare dal Rubus chamaemorus, un arbusto simile ad un piccolo gelso forse particolarmente diffuso in queste zone già in antichità.
L'insediamento comunque mantenne il nome di Canemorto fino al 1863, quando con Regio Decreto, tornò ad avere l'originario antico nome, italianizzato in Orvinio.
Volendo visitarla oggi, vi basterà impostare il vostro navigatore satellitare o Google map  sulla località di Orvinio in provincia di Rieti, puntando la vostra attenzione alle località inserite nel Parco dei Monti Lucretili e prepararsi con adeguato abbigliamento, a raggiungere gli 840 metri sul livello del mare.

Raggiungere Orvinio
Ci sono vari modi per raggiungere Orvinio: il più rapido, non necessariamente il migliore, è quello che prevede, partendo da Roma l'utilizzo dell' autostrada A24 e l'uscita al casello di Vicovaro-Mandela. Da qui deviando a destra, proseguirete in direzione di Licenza, dove potreste fare una breve sosta per vedere i resti ben tenuti della villa di Orazio e scattare prima qualche foto al suggestivo "ninfeo degli Orsini"; da qui, continuando, arriverete in meno di mezz'ora a Orvinio.

Un itinerario alternativo per chi viene da Roma nord, è quello che prevede l'utilizzo della via Salaria e giunti verso il 40° Km, una deviazione verso Scandriglia: l'itinerario riserva panorami idilliaci con bovini ed equini al pascolo, ma la strada potrebbe essere meno agevole della precedente.

Per i più curiosi, rammento che se vi trovaste a passare casualmente.....al Museo di mineralogia dell'Università La Sapienza di Roma, potreste toccare con mano (provate a chiedere) un bel meteorite di circa 700 grammi, che ignorato da anni, è tuttavia etichettato con il nome di  Orvinite .
Era infatti il 31 agosto del 1872, quando uno sciame di meteoriti fu visto passare sopra la nostra regione ma fu grazie al sindaco di Orvinio, Vincenzo Segni, che 6 frammenti, ritrovati ancora fumanti da alcuni pastori, completano oggi con questa rara condrite, anche le collezioni della Specola Vaticana di Castel Gandolfo, e quelle dei musei Mineralogici di Torino, Bologna e Milano.
Giunti a Orvinio potrete innanzitutto familiarizzare con gli abitanti, e in funzione dell'ora, fare colazione e cominciare così ad entrare nello spirito rilassato del luogo.
Poi, in funzione dei vostri interessi vi muoverete di conseguenza, verso i luoghi che vi elenco, senza però indicarvi priorità o itinerari prefissati, godetevi comunque la particolare quiete di questi luoghi, e se anche passate davanti alle rovine di antiche mura, chiese e castelli, pensate a quanta storia è passata su questi territori, che adesso apprezzate, solo come tranquilli borghi di montagna.

Castello dei marchesi Malvezzi-Campeggi
Quello che vedete è il risultato di vari rimaneggiamenti voluti da diversi proprietari: i restauri e le modifiche effettuate nel tempo hanno alterato in parte le caratteristiche architettoniche originali.
Il muro di cinta mantiene tuttavia il suo aspetto imponente occupando praticamente tutto il centro storico. Se ci girate intorno o vi allontanate dal centro storico, appariranno le sue svettanti torri, che interrompono il continuum della cinta merlata. Gli eredi dei marchesi fanno ancora uso del castello benché le nuove generazioni hanno dovuto adattarsi alle necessità dei tempi: offrono nella bella stagione il castello e i suoi locali sia per cerimonie che per brevi soggiorni, anche a chi non è di nobile casata.
I castelli riservano sempre delle curiosità: abbiamo scoperto che durante i restauri, effettuati da Remo Parodi Salvo, intorno agli anni 1915-1918, nelle cantine del castello sono stati rinvenuti numerosi scheletri vecchi ormai di secoli ed in particolare uno, a dir poco gigantesco: la scapola misurava 35 cm ed il femore ben 55 cm . Il numero degli scheletri non ha stupito nessuno, visto che il maniero era dotato di botole segrete e trabocchetti, dotati nel periodo feudale di spade acuminate pronte ad attendere i malcapitati nel caso non fossero stati invitati dai proprietari.
Vincenzo Manenti: pittore seicentesco(1600-1674) originario di Orvinio, è sepolto nella chiesa di S.Maria dei Raccomandati(XVI sec), che contiene varie opere del pittore.
Benché la sue opere siano presenti in tantissimi edifici religiosi del centro Italia e fosse stato un artista affermato ai suoi tempi, inspiegabilmente rimase nell'oblio e solo recentemente è stata avviata un'operazione di riscoperta e recupero delle numerose opere, molte delle quali presenti nel territorio reatino, opere che in passato non erano state neanche attribuite al suo genio.
Al centro del paese un' effigie ricorda la casa dove il pittore visse con i familiari .
Come promemoria, suggerisco di soffermarsi quando andrete all'Abbazia di Farfa (si veda mio post sulla Sabina) sulle due grandi raffigurazioni dei profeti ai lati dell'ingresso, che sono entrambi opera del Manenti. Un affresco in forma di trittico, con una illusionistica cornice architettonica, intitolato "Cena in casa del Fariseo" si trova sempre all'interno dell'abbazia di Farfa, nella parete del refettorio. Normalmente però questo luogo non fa parte della consueta visita guidata; andateci se potete nei giorni feriali, lontano dalle ore dei pasti e chiedete direttamente ai frati.

L’attuale Amministrazione di Orvinio è diventata proprietaria dopo circa trecento anni della Chiesa di S.Giacomo Apostolo, progettata da G. Lorenzo Bernini.

Questo risultato si deve all'intervento di Lionello Tani e della famiglia dei Verlini di Arsoli (Rm), che nel 2002 hanno redatto un atto di donazione in favore del Comune di Orvinio.

Gli interventi di restauro, curati dalla Soprintendenza, consentiranno di utilizzare la chiesa sconsacrata da tempo, quale sede di convegni, concerti e altre attività culturali.
Percorrendo la strada che da Orvinio conduce a Scandriglia, si potranno incontrare oltre che ad ambienti incredibilmente incontaminati, anche numerosi monumenti naturali ed artistici di grande interesse.
Arriverete a quasi mille metri di altezza ed entrerete nel cuore del Parco dei Monti Lucretili. Percorsi pochi km, troverete la chiesa- santuario della Madonna di Vallebuona, fondata nel XII sec.  Nei pressi vi sono i resti del borgo medievale e del castello, che appariva già in documenti del XII secolo e che cambiò padrone tantissime volte, includendo il casato dei Mareri, Federico II, Carlo D'Angiò, i Boccamazza , fino a far parte del territorio di Canemorto.
La chiesa già ricostruita nel 1643 dai cittadini di Canemorto, di recente è tornata al demanio dello Stato, è stata restaurata ed è attualmente, in buone condizioni; al suo interno, potrete ammirare vari dipinti e affreschi di Vincenzo Manenti mentre dall'esterno ammirerete il magnifico panorama sulla valle.

Proseguendo, giungerete in località Pratarelle dove, superato uno steccato che rimarca la proprietà privata del luogo, troverete un raro e solitario fontanile, cavalli in libertà, fulve giumente con i loro puledrini e una distesa di cespugli di ginepro. Sebbene da qui si dipartano vari sentieri ben indicati, ci si può anche fermare per uno spuntino sull'erba per consumare il vostro pranzo al sacco e se la visibilità lo consente, ammirate la piramidale cima dei Coppi, che svetta a 1211 metri.
Poco più in basso, c'è un altro castello diroccato, quello di Pietra Demone (nome derivante da una pietra rossa usata per culti pagani); anche questo maniero venne distrutto in epoca medievale, mentre antichi documenti ne attestano la proprietà all'Abbazia Farfense già nel 1083 rimarcandone l'estensione delle proprietà e i privilegi ancora nel 1300 . Ma già nei documenti del 1419, il suo territorio è definito" disabitato" e in seguito, nel 1448 come "distrutto".
Vi sono prove documentali, tuttavia, che l'area benché spopolata, fungesse da terreno agricolo, gestito ancora una volta dall'Abbazia di Farfa.
Recentemente il sindaco di Orvinio, ha intrapreso una battaglia "culturale" con i proprietari di un magazzino, che utilizzano come soglia, una lapide con iscrizione latina, proveniente da quell'area, avente valore archeologico significativo e che come è intuibile, meriterebbe una collocazione pubblica che la valorizzi come bene comune.
Proseguendo sulla strada, vi imbatterete poi in un vero monumento naturale : il vetusto cerro di Fonte Schiazzi, con una circonferenza di 5 metri e un'età di circa 400 anni.

Viaggiando per questa antica via, percorsa un tempo da  mandrie di bovini in transumanza ed equini allo stato brado, ci si sente quasi parte di questa natura e non ci stupirebbe la visione di cavalieri o di monaci erranti, ed è facile fantasticare tra queste rovine ricche di storie d'altri tempi.

Gli antichi ruderi, rammentano il tempo passato, almeno finché qualcuno questi ruderi potrà ancora interrogare e sperando che certi moderni barbari, non ne facciano sparire alla chetichella le tracce.
Immersi nel silenzio di questi luoghi, potreste avere delle oniriche visioni, in cui le truppe di Carlo Magno, si mescolano con i portatori di neve o di carbone del secolo scorso, e con tutto ciò che il tempo ha cancellato, ma che grazie a coloro che di tali antichi fatti hanno scritto, ci permette di tornare indietro nel tempo usando l'immaginazione, sempre presente nel bagaglio dei viaggiatori più curiosi.


Vi occorre un Bed and Breakfast a Orvinio ? :
www. ilsorrisodeimonti.it
http://www.souvenirsdantan.it

Visitate i dintorni seguendo gli itinerari suggeriti dal sito del Parco dei Monti Lucretili
http://www.parcolucretili.it/it/iti_dettaglio.php?id=164

Per avere un'idea di dove sia Orvinio, eccovi la mappa:


Visualizzazione ingrandita della mappa



autore:Rolando Profita
www.laziosegreto.blogspot.com

19/11/06

18/11/06

Alla scoperta della Valle del Giovenzano

Se vi chiedessi, dove si trova la Valle del Giovenzano, sono convinto che pochi di voi saprebbero rispondere e pochissimi saprebbero quindi come raggiungerla.
A queste lacune, ho deciso di porre rimedio, avendo avuto l'opportunità di esplorare questa valle, che merita sicuramente di essere scoperta.
Cominciamo con il dire che il nome della valle deriva la sua denominazione dal fiume Giovenzano, affluente dell'Aniene .
Di recente i comuni che si trovano in questa valle, hanno costituito un ente di diritto pubblico, allo scopo di gestire unitariamente servizi e risorse: è nata così: L'Unione dei Comuni dell'Alta Valle del Giovenzano.

Devo tuttavia al mio incontro con uno dei sindaci dei 7 comuni di questo territorio, la scoperta di questa valle e delle sorprese in essa nascoste.
I comuni in questione sono:Cerreto Laziale, Ciciliano, Gerano, Pisoniano, Rocca Canterano, Sambuci e Saracinesco.
Il modo più facile per raggiungere questi luoghi, è quello di percorrere da Roma l'autostrada A24, uscendo dopo meno di venti minuti al casello di Castel Madama per poi proseguire per circa 10 km sulla provinciale, che vi porterà fino a Sambuci; da qui potrete poi ripartire alla scoperta degli altri comuni, seguendo l'istinto o la vostra curiosità.
Lungo la strada, suggerisco di fermarsi poco dopo una cabina elettrica, per seguire un breve viottolo sulla destra, che vi consentirà di "bagnarvi nel fiume Giovenzano"ed apprezzarne la natura circostante, che fortunatamente ha avuto la meglio sui soliti rifiuti, improbabilmente trascinati dall'acqua.
Rammentiamo ai curiosi, che l'unico documento certo che parla di un insediamento in questo territorio è rappresentato da
il" Generale Privilegio", con cui Papa Nicolò I (856-867), conferiva all'abate Leone di Subiaco tutti i beni del monastero, ivi incluso, anche il territorio di Sambuci.
Gran parte del territorio della valle fu soggetto a partire dal XII secolo, di ripetute incursioni sia da parte delle popolazioni limitrofe che da quelle delle truppe di Federico Barbarossa e di Corrado d'Antiochia, in armi contro lo Stato Pontificio.
In questo stesso periodo, i nuclei abitati assunsero la forma di borghi fortificati, allo scopo di difendersi meglio dai tentativi di conquista tipici di questo periodo feudale .
Dal XVI secolo varie famiglie nobili si succedettero nel governo del territorio, fino a quella dei Theodoli, che cedettero infine le proprietà ed il castello, che adesso fa parte del patrimonio del comune.

Sambuci :qui potrete vedere il castello Theodoli  e meriterebbe una visita anche l'ex Convento Francescano, soprattutto per il suo colonnato.
Sulla strada che porta a Sambuci, in caso di appetito, troverete l'agriturismo" Il Giovenzano": il locale è ampio, i cibi rustici ma gustosi, il personale gentilissimo ed i prezzi ancora quelli di una volta:..... ecco perchè lo troverete sempre affollato, anche nei giorni feriali.
Proseguendo da Sambuci, in pochi minuti di auto, raggiungerete i 619 metri ed entrerete nel successivo comune facente parte del nostro itinerario.

Ciciliano:il nome sembra derivare da un antichissimo insediamento denominato Oppidum Sicilion, che trasformato prima in Sicilianum, condusse infine al nome attualmente usato.
Gran parte del territorio della valle fu interessato dalle invasioni dei saraceni già a partire dal X secolo, seguite poi nei secoli seguenti da ripetute incursioni sia da parte delle popolazioni limitrofe che da quelle delle truppe di Federico Barbarossa e di Corrado d'Antiochia, in armi contro lo Stato Pontificio .
Nel tempo quindi, i nuclei abitati assunsero la forma di borghi fortificati, allo scopo di difendersi meglio dai tentativi di conquista e sottomissione.
Dal XVI secolo varie famiglie nobili si succedettero nel governo del territorio, fino a quella dei Theodoli , che cedettero infine le proprietà ed il castello, che adesso fa parte del patrimonio del comune, nel territorio del quale si trovano vari complessi archeologici di notevole interesse, ma scarsamente conosciuti e pubblicizzati.
Si trova qui infatti, l'interessante area dell'insediamento preromanico di Trebula Suffenas, cittadina fiorente già dal III sec. a.C. , che purtroppo è compresa all'interno di una villa privata(Villa Manni) con le difficoltà conseguenti, per una fruizione continuativa o comunque organizzata.
Sarà possibile comunque apprezzare il centro storico del paese, dove si incontrano, talvolta troupe cinematografiche alla ricerca di scorci ed angoli tipici del tempo passato.
Anche a noi è capitato di incontrare una troupe belga, che girava un film con Lino Capolicchio, con l'ausilio volenteroso di vari anziani del paese, orgogliosi della loro parte, soprattutto le tre ottuagenarie, pettinatissime ed impettite in attesa del ciak, tra cameramen e cineasti dialoganti in francese.
Quando vedrete un film, che parla dei minatori di Marcinelle, ricordatevi del contributo delle anziane donne di Ciciliano .
Al centro del paese potrete vedere il castello Theodoli, risalente al XII secolo, che deve il suo impianto fortificato ai Colonna che mantennero questo feudo dal 1373 al 1563.
La proprietà passò poi nelle mani dei Massimo ed infine di monsignor Theodoli,vescovo di Cadice.
Nel castello si trova una biblioteca con qualche antico manoscritto; interessanti poi sia l'antico forno, la prigione e il turculianum per la pigiatura dell'uva.
Dopo la visita del castello, non perdetevi il panorama che si gode dalle diverse terrazze del paese, che offre uno spettacolare colpo d'occhio su tutto il territorio circostante e che consentirebbe di vedere, a detta degli abitanti, persino la basilica di S.Pietro. Ma passiamo alla prossima meta.

Cerreto Laziale: paese ricordato per essere stato tra i pochi, a resistere all'assedio del brigante Marco Sciarra.
Tale evento è ricordato da una statua di una gatta, nella piazza del paese ma anche da una festa commemorativa dell'evento, che si tiene ogni anno tra il 24 e il 25 Aprile.
Se vi state chiedendo che nesso ci sia tra una gatta e un brigante, sentite un po' quanto furono furbi i cerretani.
Ecco come andò: il brigante stava assediando il paese con i suoi accoliti e aveva per tale motivo organizzato un accampamento proprio sotto le mura del castello.
Gli abitanti allora attesero l'oscurità e dopo aver legato alla coda di una gatta, paglia e stracci imbevuti di liquidi infiammabili, la sacrificarono per la salvezza di tutti gli abitanti, lanciandola poi dalle mura direttamente sull'accampamento dei briganti.
Ovviamente la gatta, prima di soccombere, creò gran scompiglio tra i briganti sorpresi prima per gli improvvisi incendi e disorientati dopo, a tal punto da convincere lo Sciarra a por fine al suo assedio, ritirandosi.
A Cerreto potrete ancora vedere la poderosa torre del XIV sec.(Il Maschio), i resti delle antiche mura poligonali e la Chiesa di Santa Maria Assunta di origine medievale.
Un altro vanto del paese è la sua banda, che festeggia quest'anno ben 130 anni di attività.

Gerano: contesa per secoli da nobili tiburtini e abati sublacensi, merita oggi una visita se siete interessati ai reperti del passato e ai suoi boschi di castagno ricchi di funghi. Troverete anche un inconsueto Museo delle Scatole di Latta : la sua ideatrice vi ammetterà volentieri nella cerchia degli appassionati di questo particolare collezionismo. Se amate i grandi raduni multicolore, segnatevi la data del 9-10 Luglio, Festa di Santa Anatolia: si tiene in questa data, una variopinta fiera mercato, che raduna nel paese, carovane di zingari da tutta Europa. Segnalo anche una bella Infiorata, meno conosciuta di quella di Genzano, ma forse nel suo genere, la più antica d'Italia - risale al 1749, di norma si tiene la I domenica dopo S.Marco.

Pisoniano: dovete raggiungere questo delizioso comune per apprezzarne la quiete, la gentilezza dei suoi abitanti e il verde scenario su tutta la valle.
Ai piedi del paese, troverete alcuni sentieri che consentono di raggiungere gli scarni resti della villa di Calpurnio Pisone, in un ambiente veramente incontaminato, mentre un' altra meta sarà la Chiesa della Madonna della Neve e il noto santuario della Mentorella, utile anche per apprezzare l'incontaminata natura del Monte Guadagnolo arroccato a 1218 metri sul livello del mare.Un altro luogo interessante, vanto di Pisoniano è il Museo della Canapa, visitabile, previo accordo con i responsabili del comune.
Per provetti escursionisti poi, ci sarebbe da scoprire la sorgente Inata, ben celata sulla collina di fronte al paese. Si trova all'interno di una grotta lunga circa 300 metri, che consente dopo una certa difficoltà iniziale dovuta alla ristrettezza dell'accesso, di scoprire al suo interno tre laghetti limpidissimi e a detta del sindaco di Pisoniano, che l'ha visitata con l'ausilio di un canotto, di giungere dopo vari passaggi ad un'ara candida, da dove scaturiscono le acque della sorgente.
Questa meta ovviamente è per coloro che amano l'avventura, ma è preferibile chiedere il supporto di membri locali del CAI, che potranno accompagnarvi nel periodo giusto.
Un altro motivo per venire a Pisoniano è la gustosa cucina di Rina, della Locanda da Bacco, che le ha meritato l'inserimento in una guida di Slow Food .

Rocca Canterano: cittadina la cui origine risale al IX secolo, quando per opera di Giovanni V, abate di Subiaco, sorse questo strategico insediamento, con il fine di controllare l'accesso alla valle dell'Aniene.
Nel 1320 seguì la stessa sorte dei paesi vicini, divenendo feudo dei Principi di Antiochia, mentre nel 1500 divenne insediamento di bande di briganti poi eliminati a fine secolo, dalle truppe di Papa Sisto V.
Divenuto un tranquillo paese agricolo, si dice che a causa della penuria di donne, per trovare moglie i contadini, emuli dell'antico ratto delle Sabine, furono costretti a rapirle dal vicino paese di Canterano.
A Rocca Canterano potrete ammirare il complesso fortificato godendovi la splendida veduta sulla vallata con i paesi circostanti. Potrete poi vedere la Chiesa di Santa Maria Assunta, costruita nella viva roccia(per gli orari chiamare il comune); il Palazzo Moretti del "700", attualmente proprietà privata, è visitabile nei giorni festivi.
Nei dintorni, vari sentieri consentono di apprezzare gli ambienti incontaminati dei Monti Ruffi.
Vi segnalo poi la pittoresca Festa dei Cornuti, che si tiene ogni anno in novembre, in occasione della festa di S-Martino.
La tradizione vuole che i mariti traditi vedano in S. Martino il loro protettore, forse perchè durante tale festa, era consuetudine organizzare le fiere degli animali che erano perlopiù "cornuti" e da questa tradizione è nata anche questa" festa del"cornuto" dove il festeggiato viene portato in trionfo per tutto il paese, con il giusto accompagnamento di motti satirici.
La festa come è d'uso, vale anche come scusa per apprezzare i piatti tipici della valle (cecamariti e sagne) e per darsi a gioiose libagioni.

Saracinesco: raggiungerete questo comune giungendo dall'uscita del casello della A24 a Vicovaro-Mandela, svoltando a destra dopo la stazione; in una decina di minuti sarete a quota 908 metri sul livello del mare. Non stupitevi se incontrerete lungo la strada cavalli ed altri equini, del tutto incuranti della vostra presenza.
Il paese di Saracinesco trae la sua origine, come si intuisce dal nome, da quei saraceni che verso l'876, imperversavano in tutta l'area dell'Aniene e che alla fine delle scorribande decisero di stabilirsi su queste alture. Secoli dopo i discendenti costruirono anche il castello che poi divenne di proprietà degli Orsini. Nell'800, molti pittori venivano quassù per cercare tra i popolani, modelli e particolari fisionomie.
Oggi il paese, è alquanto silenzioso al mattino: i bambini sono a scuola e ci vivono solo 12 famiglie. Il simpatico sindaco, ha cercato di rendere il paese più interessante facendo costruire in vari punti di Saracinesco, delle meridiane e degli gnomoni astronomici. Se avete del tempo suggerisco di inoltrarvi invece a destra del parcheggio, apprezzando questi bei panorami montani, che vi ritempreranno dalle ore passate al chiuso, nelle case e negli uffici cittadini.
Come per gli altri itinerari fate uso di www.maps.google.it per individuare meglio il percorso a voi congeniale, che per ragioni di sintesi, non si sofferma su distanze e scelte obbligate: potrete così costruire agevolmente il vostro personale itinerario nella valle, partendo dall'indirizzo di casa vostra.

NEWS : Per ulteriori informazioni visitate il blog di Roberto Gargiuli :http://valledelgiovenzano.blogspot.com/



Recapiti Telefonici dei Comuni della Valle del Giovenzano
Cerreto Laziale 0774 798032
Ciciliano 0774 790006
Gerano 0774 798002
Pisoniano 06 9577430
Rocca Canterano 0744 803400
Sambuci 0774 797006
Saracinesco 0774 791004

07/11/06

Blogquiz N.2: l'antica tecnica pittorica di Filippo Severati


Ci sono artisti, che pochi conoscono.
Ci sono opere che non stanno nei musei.
Di ritratti simili a questo, ne potrete trovare a decine, ma dovrete andarli a cercare con molta pazienza e senza fretta.
Nel luogo dove si trovano, non è d'uso pagare il biglietto, ma qualcuno potrà fornirvi una mappa.
Nonostante questi ritratti siano dell'800, molti sembrano appena dipinti , grazie alla tecnica del suo ingegnoso autore.
Dove andreste, per osservare le sue numerose opere ?.

RISPOSTA:Si tratta dei ritratti di Filippo Severati (1819-1892), che potrete ammirare al Cimitero monumentale del Verano a Roma. Suggerisco di stampare le mappe dal sito del Comune di Roma dedicato a questo luogo, scegliendo l'itinerario di interesse: esse potranno darvi suggerimenti ugualmente interessanti, in funzione dei tempi disponibili, ma soprattutto dal vostro grado di curiosità.
Ritornando a Severati, vi accenno solo che tale artista, migliorando la tecnica già illustrata a Parigi dal collega Paul Balze nel 1863, realizzò numerosi ritratti, utilizzando lava e smalto: questa tecnica, ha consentito di conservare i tantissimi profili ottocenteschi, giunti intatti fino a noi.
Il brevetto con la descrizione della tecnica artistica, fattane da Severati è conservato presso l'Archivio di Stato a Roma.
Per saperne di più,visitate questo link:
www.opusaetnae.it/percorsi/percorsiritrattiseveratimarinopinali.htm

La Grotta del Turco e la roccia liquefatta dall'impronta del miscredente a Gaeta

Per coloro che non hanno individuato nella foto pubblicata, il luogo della spettacolare grotta, nascondiglio di predoni saraceni, questo post rivelerà dove è ubicata questa ed altre meraviglie.
Per ammirare questo splendido spettacolo naturale, dovrete dirigervi verso la cittadina di Gaeta, facilmente raggiungibile tramite l'autostrada A1,uscendo poi a Cassino e proseguendo quindi sulla superstrada Cassino-Formia;
in alternativa potete uscire da Roma sud e percorrere la via Pontina oppure la via Appia .
Usate se avete dubbi l'ottimo sito per la ricerca dell'itinerario migliore sul sito www.maps.google.it digitando:"monte orlando, gaeta".
Giunti a Gaeta, superato il centro della città, subito dopo l'edificio delle Poste, troverete le indicazioni relative al Parco urbano di Monte Orlando e del Santuario della SS.Trinità.
La visita alla Grotta del Turco è a pagamento e consente attraverso una comoda gradinata, di scendere sino alla base di questo spettacolare antro naturale, dove al livello del mare potrete godervi, soprattutto se c'è il sole, gli splendidi riflessi verdi e turchesi creati dalle acque cristalline. Guardando verso l'alto poi, potrete apprezzare la magnificenza e la spettacolarità dell'intera grotta, molto apprezzata anche dai patiti di free climbing, che talvolta si intravedono sulle ripide pareti .
Storicamente, la Grotta del turco è stata così denominata, in quanto nel IX secolo, ai tempi del Ducato di Gaeta, le navi dei saraceni trovavano rifugio tra le fenditure di questo strategico promontorio, pronti ad attaccare di sorpresa le navi in transito, al fine di depredarle dei loro carichi.
Risaliti all'ingresso del Santuario, vi suggerisco di non perdere il breve , mistico e per certi versi inquietante percorso, solitamente seguito da coloro che arrivano in questo luogo.
Attraverso una strettissima gola e percorrendo una agevole scala di trentatre gradini scavata nella roccia, le cui pareti speculari tra loro, sembrano volersi ricongiungere, troverete strani segni rimasti impressi nella roccia.
Premetto che la tradizione religiosa ritiene che questa fenditura naturale, si sia creata insieme alle altre due presenti sul  Monte Orlando, durante il terremoto, che investì la terra alla morte di Gesù.
Lungo le pareti della roccia, fermatevi prima ad osservare anche i riquadri in maiolica delle postazioni della Via Crucis, in parte restaurate, risalenti al 1849 e attribuite a S.Bernardino da Siena, contenenti i versi del Metastasio .
Giunti in uno stretto passaggio, alla vostra destra, potrete osservare sulla roccia una iscrizione in latino( si chiama distico) e sopra di essa, un' inquietante impronta di una mano traslucida impressa nella roccia, che la leggenda vuole sia appartenuta ad un marinaio turco . Il miscredente era da non cristiano, scettico sull'origine sacra delle spaccature della montagna, ma non appena appoggiò,baldanzoso, la mano sulla roccia, questa, secondo la tradizione, si liquefò all'istante come cera sotto le sue dita, lasciando così l'impronta nitida della mano e delle 5 dita che ancora adesso è possibile vedere . Alla fine del percorso si trova anche il giaciglio in pietra, dove soleva ritirarsi in meditazione S.Filippo Neri .
Nel 1434 un probabile terremoto determinò la caduta di un grosso macigno che si incastrò all'interno di una delle fenditure del monte: su questa venne eretta una cappella, da cui potrete godere di uno splendido colpo d'occhio, sia sul mare circostante, che sull'altissima falesia di oltre 150 metri visibile dalla terrazza.
Nelle vicinanze potrete visitare le cisterne facenti parte della villa del console Lucio Munazio Planco, il cui imponente mausoleo del 22 a.C. è stato recentemente restaurato.
Buon divertimento !
Per saperne di più suggerisco la lettura di un agile volume edito dalla Caramanica editore:
http://www.caramanicaeditore.it/catalogo/schedalibro.asp?id=198

03/11/06

La Catalpa va all'università

La catalpa all'interno dell'Università La Sapienza di Roma
Se dicessi che questo articolo tratta di catalpe, di indiani e dell'Università La Sapienza, a prima vista riuscirebbe difficile, anzi arduo, trovare un nesso logico tra queste entità.
Talvolta però, il caso riesce a costruire legami inconsueti tra elementi diversi, dando vita così a storie, come quella che ho avuto la fortuna di ascoltare e che adesso trasferisco a tutti voi.
Per coloro che ignorano cosa sia una catalpa, rammento che con questo termine si indica il nome di un albero della famiglia delle Bignoniacee, con grandi foglie a forma di cuore, fiori bianchi disposti a grappolo e frutti molto particolari, costituiti da lunghe capsule, brune in autunno, lunghe dai 15 ai 30 cm. Scavando un po' di più come si confà ai veri curiosi, come spero siano i miei lettori, si scopre che il termine catalpa, fa parte del vocabolario degli indiani d'America, oggi chiamati "nativi", per designare appunto questa pianta molto diffusa soprattutto nei territori di confine compresi tra il Nord e il Sud dello stato della Carolina .
Ad essere precisi, diremo che il nome della catalpa viene da "Catawba": nome di una delle tribù, che già nel XVII secolo era considerata tra le più potenti nelle vallate dell'Ohio, riuscendo i loro guerrieri, a tenere testa alle tribù degli Irochesi, Shawnesi, Delaweresi e ad altre minori. Oggi i discendenti vivono in un territorio di soli 3.2 km² nel sud della Carolina .
Torniamo adesso all'Università La Sapienza di Roma, dove circa venticinque anni fa, un seme leggerissimo e di consistenza cartacea, partito da chissà dove, prima sballottato sui cieli della capitale dalle vorticose e disordinate brezze cittadine e cullato poi dai venticelli primaverili, ha adocchiato uno spazio non cementato, proprio davanti al Dipartimento di Matematica, forse pensando durante l'atterraggio, che la presenza dell'istituto di Botanica a qualche centinaio di metri, lo avrebbe di sicuro aiutato, nella sua permanenza nell'antico e prestigioso ateneo della capitale e ne avrebbe sicuramente favorito la crescita e la cura .
Un brutto giorno, di qualche anno fa (non ho i dati certi) non si sa bene chi, diede l'ordine di eliminare questa "inutile" pianta, in quanto ritenuta d'intralcio all'ingresso degli studenti in facoltà. Ovviamente la notizia girò tra studenti e docenti, ancor prima che l'insano ordine fosse eseguito.Ma chi volete che si curi al giorno d'oggi, dell'eliminazione di una catalpa?
Il caso volle però, che allorquando gli addetti, incaricati del taglio, erano già pronti con seghe e camion, ad eseguire la triste sentenza, passasse di lì, per fortuna, un noto e stimato botanico .
Ovviamente il docente conosceva quella pianta ed in qualità di esperto, sentenziò senza appello, che quell'ordine non poteva e non doveva essere eseguito, essendo quell'albero, un esemplare raro di "Catalpa" e pertanto assolutamente da proteggere e non certo da abbattere: il seme quindi aveva visto giusto e forse è per questo motivo che alcuni rami della catalpa, sembrano protendersi verso l'Istituto di Botanica, forse per ringraziare quel luminare per il tempestivo intervento.Lo stimato botanico le ha assicurato una lunga vita, ed al tempo stesso anche la possibilità di continuare ad ascoltare a loro insaputa gli studenti, dissertare di Keplero, Leibniz, Newton ed Eulero e facendole dimenticare, forse, quelle verdi valli della Carolina, dove i suoi progenitori erano nati e cresciuti, avendo su di essi lo sguardo fiero degli indiani Catawba.(se guardate al centro della foto, nel fogliame ne potete individuare uno....con un po' di fantasia).
La storia potrebbe finire qui, come si suol dire....a lieto fine; se invece volete farvi del male e perdere tutta la poesia del racconto e ritornare alla cruda realtà, provate a digitare "catalpa" all'interno del sito di e-bay, e d'un colpo cancellerete, questa piccola storia........ma non dite poi che non vi avevo avvertito !